Tre stagioni per un totale di 48 episodi, andate in onda tra il 2009 e il 2011 concluse da una cancellazione inaspettata e anche abbastanza contestata dai fan a seguito di un calo degli ascolti. Lie to me è una delle serie più intelligenti e originali andate in onda nello scorso decennio, grazie a un’idea di base intrigante e a un cast che funzionava benissimo, guidato da Tim Roth affiancato da Kelli Williams, Brendan Hines e Monica Raymund.
La trovate su Sky e Apple TV+.
Che cosa racconta
Il Lightman Group è una società molto particolare che si occupa di attestare la verità attraverso lo studio scientifico del linguaggio del corpo e della mimica facciale, e spesso collabora con importanti istituzioni o con l’FBI.
Il suo fondatore, il dottor Cal Lightman (Roth) è uno scienziato totalmente sui generis, che ci lavora insieme all’affascinante socia psicologa, Gillian Foster (Kelli Williams) e due giovani collaboratori (Hines e Raymund). I casi che il gruppo affronta hanno per lo più a che fare con sospettati di crimini, atti terroristici o persone che si proclamano ingiustamente accusate, ma il racconto insiste anche sulla vita privata di Lightman, che è divorziato (lei è Jennifer Beals, ma appare pochissimo e praticamente scompare a metà della seconda stagione) e ha una figlia adolescente, e in misura minore degli altri associati.
La serie poi, ogni tanto sospende la narrazione per proporre agli spettatori vere foto di personaggi famosi (Bill Clinton, per esempio) per mostrare la loro espressione mentre pronunciano una menzogna.
Perché guardarla
Soprattutto per la costruzione del personaggio principale, il dottor Lightman, magistralmente interpretato da Roth, che rende benissimo anche nel doppiaggio di Massimo Popolizio, cosa che fa di Lie to me una delle poche serie da guardare anche in italiano.
Il Lightman di Roth è una figura complessa: uno scienziato “pazzo” che però non ha affatto le caratteristiche del nerd, tutt’altro, è aggressivo, gioca d’azzardo, picchia la gente e non rispetta le regole, e spesso sembra più un hooligan che un laureato a capo di una società prestigiosa. Tuttavia, nello stesso tempo è anche un padre affettuoso, un uomo dotato di grande sensibilità, intelligenza e humor, e anche di fascino, il che lo rende molto apprezzato dalle donne, nonostante non sia bellissimo.
La serie ruota tutta intorno a lui, con storie quasi sempre interessanti e personaggi di contorno che gli si adattano benissimo, sotto trovate un’intervistina che feci anni fa per la partenza della seconda stagione a Monica Raymund per Vanity Fair.
L’intervista a Monica Raymund
C’è una celebre scena nel pilot: il capo Lightman (Tim Roth) domanda alla sua futura collaboratrice, la poliziotta Ria Torres (Monica Raymund), “che esperienza ha con la menzogna?” Lei risponde: “sono uscita con molti uomini”.
Riguardo agli uomini, è d’accordo col suo personaggio?
(Ride) «Pur non avendone frequentati così tanti, in parte sì».
Ria però ha un istinto infallibile, nell’accorgersi se qualcuno le mente. Il suo com’è?
«Davvero scarso, purtroppo. In realtà credo a tutto, sono una persona che ha molta fiducia negli altri».
Qualcosa avrà imparato, lavorando nella serie.
«Riconosco qualche espressione facciale, nulla da preoccupare chi mi sta vicino. Ma ho incontrato due o tre volte Paul Ekman, lo psicologo che ha scritto il libro a cui ci ispiriamo. Lui sì che è inquietante: hai l’impressione che possa leggerti dentro».
Lei quanto mente nel quotidiano, da 0 a 10?
«Poco, direi 2 o 3. Per me è molto più complicato raccontare una bugia, che la verità».
Menzogna favorita?
«“Sono lì tra 5 minuti”. Inevitabile, considerando il traffico di Los Angeles».
Sul sito web dello show c’è uno spazio dove chiunque può postare la sua peggiore bugia. Ci racconta la sua?
«A 16 anni ho cominciato a sgattaiolare via di casa la notte per incontrare gli amici e andare a ballare. L’ho detto ai miei solo recentemente».